domenica 20 febbraio 2011

Paolo Lauciani, sommelier del Tg5: “La vita va assaporata come un buon vino”

18 dicembre 2007 - I telespettatori che si sintonizzano per il Tg5 delle ore 13 hanno imparato col tempo ad apprezzare gli approfondimenti e le curiosità della rubrica “Gusto” che molto spesso fra gli esperti enologi ospita il romano Paolo Lauciani che con classe, brio e competenza enuclea le diverse caratteristiche organolettiche del nettare degli dèi. Classe 1964, Paolo Lauciani insegna Latino e Greco al Liceo Classico ‘Vivona’ della capitale; con in tasca un dottorato in filologia classica, si occupa di enogastronomia insegnando nei corsi dell’A.I.S. (Associazione Italiana Sommelier) e dal 2002 partecipa alla rubrica del notiziario di Canale 5. Lo abbiamo incontrato nel Liceo dove insegna e svolge pure la funzione di vicepreside: racconta subito com’è iniziata la sua avventura di sommelier.
“Fondamentalmente sono una persona curiosa: cerco di studiare e approfondire tutto quello che è espressione e l’amore per il vino si colloca da questo punto di vista come una realtà da conoscere da vicino. Sin da bambino di nascosto bevevo dalle bottiglie che i commensali lasciavano a tavola: per quanto riguarda il cammino professionale e la carriera di sommelier ho cominciato intorno ai ventotto anni.
Mi ha convinto la scoperta che il vino è parte integrante del patrimonio culturale del nostro Paese come i classici”
- Ci sono dei risvolti negativi nell’essere esperto di vini?
“Sono oramai quindici anni che lavoro in questo settore e devo dire che non ho ancora perso lo stupore, la capacità di stupirmi sia quando assaporo il vino semplice di un contadino sia quando mi avvicino a grandi etichette nei confronti delle quali provo una certa timidezza”
- Quali per esempio?
“I vini francesi innanzitutto che sono un necessario riferimento come gli champagne, i vini della Borgogna, lo Château del Bordolese e più che il giudizio che devo darne mi incuriosisce capire quanto mi emozionano”
- Quando parli di un vino sembri andare in estasi: come mai?
“Il vino è come un’opera d’arte o quanto meno un’opera di alto e fine artigianato; è il risultato di tre componenti: territorio, vitigno e uomo. L’uva da sola diventa aceto e per evitare ciò ci vuole l’ingegno e la creatività dell’uomo che risulta determinante nel rendere il vino espressione dei colori e dell’essenza di un dato territorio”
- All’inizio l’esperienza televisiva di ‘Gusto’ è stata la prima?
“Da bambino partecipai alla trasmissione ‘Tin’ del 1976. Ho fatto delle apparizioni a ‘Uno Mattina’ e poi all’interno di ‘Gusto’, la rubrica del Tg5, senza percepire compenso: vi prendo parte gratuitamente come rappresentante dell’A.I.S.. Ricordo con piacere anche la partecipazione al programma comico ‘Colorado Cafè’ dove andava fortissima la mia imitazione. Mi piace anche ricordare il programma ‘Enotria’ realizzato con Sandro Vannucci: cinque puntate sulla storia del vino in Italia andate in onda su Rai Educational” Problemi di imbarazzo davanti alla telecamera? “Devo riconoscere di avere buone doti di comunicazione e con la telecamera non ho avuto alcun problema a livello di spontaneità. Mi avrà certamente aiutato aver recitato per otto anni in teatro”
- Come fai a conciliare la passione per il vino e l’insegnamento?
“Dormendo poco. Il vantaggio di essere vicepreside è che puoi pianificare gli orari rendendoli flessibili agli altri tuoi impegni”
- Hai visitato tutta l’Italia per studiarne e gustarne i vini: c’è qualche regione che in rapporto al suo vino ti ha particolarmente sorpreso?
“La regione in cui il trittico territorio-vitigno-uomo si esprime mediamente meglio a mio avviso è il Piemonte dove la proprietà molto frammentata rappresenta appieno quanto possa essere diversamente interpretato un territorio e quanto conti l’intervento dell’uomo. A distanza di poche centinaia di metri ci sono caratteristiche di territorio alquanto diverse, basti pensare alla Borgogna”
- Hai citato i vini francesi: fra quelli italiani ce n’è qualcuno misconosciuto degno della ribalta?
“C’è il Carignano de Sulcis di Sardegna, un rosso dalle caratteristiche magnifiche dovute al suo territorio unico che si poggia su una piattaforma podografica immune alla filossera. Tra i bianchi mi viene da citare il Grillo della Sicilia, che sostanzialmente è l’uva impiegata per la produzione del Marsala buono”
- Dal punto di vista familiare e sentimentale come sei messo? “Alle spalle ho un matrimonio annullato dalla Sacra Rota: al momento della separazione lei ha asserito di non poter sopportare come rivale una bottiglia di vino, nel senso che la mia persona è troppo legata per impegni e investimento economico a questa passione. Bisogna trovare un giusto equilibrio e si finisce per accompagnarsi con chi condivide le tue stesse passioni”
- Quale qualità deve avere una persona per essere ‘buona’ quanto un vino?
“Una persona deve essere amica della compagnia e non esprimersi da sola. Il vino è grandissimo a tavola: l’egocentrismo e l’individualismo non appartengono al buon vino; lo stesso vale per le persone quando si accompagnano agli altri”
- Usando la terminologia tipica dei sommelier, mi daresti una definizione della vita? “La vita va apprezzata in ogni suo aspetto e atteggiamento come quando si degusta un vino. Bisogna osservarla, prendendosi il giusto tempo, guardando anche l’impatto visivo delle cose e assaporarne il ventaglio aromatico. È necessario saper aspettare il momento giusto perché altrimenti si rischia di perdere e bruciare qualcosa: la sintesi che riunisce tutto è l’assaggio che non va disperso ma assaporato in ogni istante, non solo quando il vino è in bocca ma soprattutto quando lo si deglutisce, un’esperienza riconducibile all’effetto che ti lascia un buon ricordo”. Giovanni Zambito.

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