mercoledì 16 febbraio 2011

IL CINEMA DEI FRATELLI PUPI E ANTONIO AVATI CHIUDE LA SETTIMANA DELLA LINGUA E DELLA CULTURA ITALIANA A MALTA

31 ottobre 2006 - Sabato scorso nella sala Francis Ebeyer presso l’Università di Malta, all’interno della rassegna Cinema Nuovo Italiano, è iniziata la proiezione di ben sette pellicole dirette da Pupi Avati, presente alla serata inaugurale assieme al fratello Antonio.  Dopo "La seconda notte di nozze", è stata la volta de "Il cuore altrove" e "Ma quando arrivano le ragazze? "; ieri, poi, è toccato a "Regalo di Natale" e "La rivincita di Natale", mentre oggi, 31 ottobre, a "Festa di laurea" e "Impiegati".
Giovedì 2 e venerdì 3 novembre, invece, per il tema "Così vicini così lontani: la Sicilia del sud est e Malta" all’Istituto Italiano di Cultura de La Valletta saranno proiettati rispettivamente "Respiro" di Emanuele Crialese e "Maléna" di Giuseppe Tornatore, che concluderà la kermesse.
L’Italia Film Festival, diretto da Arturo Mingardi, è realizzato con il sostegno del Ministero Italiano per i Beni Culturali e dell’Ufficio per le Relazioni Diplomatiche ed Internazionali della Presidenza della Regione Siciliana. A questi si affiancano il Ministero degli Esteri rappresentato dall’Ambasciata d’Italia e dall’Istituto Italiano di Cultura a Malta e gli Enti Locali della Provincia di Ragusa.
I fratelli Avati, prima della proiezione del film, si sono intrattenuti con il folto pubblico venuto ad applaudirli, rispondendo a domande e curiosità.
Comincia Antonio Avati: "A gennaio uscirà un film girato circa sei mesi fa, una commedia con Diego Abatantuono e quattro valentissime attrici (Vanessa Incontrada, Francesca Neri, Violante Placido, Ines Sastre) e sarà distribuito dalla Medusa: il titolo è "La cena per farli conoscere".".
"Ho conosciuto il dottor Mingardi a Ragusa qualche anno fa per incontrare il "Barocco siciliano" in una serata memorabile: è una persona affezionata al cinema che ama veramente con grande cuore", ricorda invece continua Pupi. E poi prosegue: "Il film "La seconda notte di nozze", che inaugura la rassegna, è l’ultima nostra creatura che ha affrontato un pubblico e un festival con un buon riscontro anche di critica. Guarda al passato con un occhio non così generoso: è il 1946, l’indomani della fine della guerra. L’Italia ha ancora aperte tutte le ferite inferte dal conflitto e la vita fra gli esseri umani si fonda sui bisogni primari: una vicenda umana in cui i protagonisti interagiscono tra di loro attraverso questo bisogno dettato dalle prime necessità primarie. È la prima volta che affrontiamo un racconto che parte dalla nostra amatissima Bologna per poi dipartirsi e affrontare il Meridione d’Italia, la Puglia. È l’unica volta in cui l’emigrazione per la sopravvivenza va da nord verso sud: l’unico periodo italiano in cui la rassicurazione e il mangiare la si andava a cercare nel sud. Poi due anni dopo con la riapertura delle fabbriche del nord le cose sono cambiate. Un elemento a cui teniamo moltissimo è condensato nella chiusura del film: è vero che molto spesso ci è capitato di raccontare l’ingenuità, che gli eroi dei nostri film sono portatori di un candore e di una certa irragionevolezza, capaci di stupefazione, i "poveri in spirito" del Vangelo; ma qui Antonio Albanese è la reiterazione dello stesso personaggio con una componente in più: non è solo un puro, ma si mette a servizio della comunità offrendo la propria vita".
D. Come mai è stata scelta Katia Ricciarelli?
PUPI AVATI. "Eravamo con Maurizio Nichetti all’una in una trattoria di San Giovanni e pensavamo a un’interprete che impersonasse il ruolo della madre e venivano in mente i soliti nomi. Avevamo bevuto molto e io sussurrai il nome di Katia Ricciarelli: tutto il ristorante si è tacitato per un senso di diffusa preoccupazione, di terrore che stessimo parlando sul serio. Dopo le iniziali titubanze, si è messa a disposizione rivelandosi una grande attrice vincendo addirittura il Nastro d’Argento".
D. Perché a volte vi rifugiate in temi e aspetti truculenti, come per esempio in "La casa dalle finestre che ridono" e "Magnificat"?
PUPI AVATI. Quando si è molto prolifici bisogna alternare le diverse proposte. "Magnificat" è un documento sull’Alto Medioevo che nel cinema italiano mancava. È stato raccontato il Medioevo ma non l’Alto Medioevo: allora con uno spirito un po’ rosselliniano volevo far partecipi gli altri delle mie scoperte e dei miei studi al riguardo. Per quanto riguarda l’orrorifico, la paura, il terrore, quelli della nostra generazione sono stati educati attraverso la favola contadina che si fondava sulla paura vista come deterrente per far stare buoni i bambini. Io provengo da quell’Italia medioevale, arcaica, oggi lontana perché ora ci si confronta con un’immaginazione già in gran parte risolta, che passivizza molto i giovani. Non c’è niente che mi riporta all’adolescenza e all’infanzia più del racconto di paura. E poi al cinema ci si va per tre motivi: per essere spaventati, per ridere o per essere commossi".
D. Chi tra voi due ha le idee per un film? Ci sono stati mai motivi di frizione fra voi due?
ANTONIO AVATI. "Abbiamo spesso momenti di piccole frizioni però siamo sempre riusciti a lavorare assieme bene oramai dal ‘68. Non abbiamo un carattere così diverso perché abbiamo vissuto molto insieme per una tragedia capitata in famiglia: nostro padre ci ha lasciati quand’eravamo piccoli e abbiamo passato l’adolescenza con nostra madre. Nei rapporti col pubblico la mia figura è un po’ più ritirata: le idee dei film negli ultimi anni vengono solo a Pupi perché io mi occupo di cose più complicate e noiose che riguardano la parte finanziaria, burocratica e amministrativa. In passato il mio apporto a livello di sceneggiatura era abbastanza frequente ed efficace. Nei riguardi del cast riesco tuttora ad essere il più attento e in certi casi un po’ il più originale".
D. Con il vostro film si conclude la Settimana della Lingua e della Cultura Italiana. Quale elemento di "italianità" ricorre più frequentemente nei vostri film?
PUPI AVATI. "Penso che tutti i film che riguardano la memoria hanno un ruolo importante, in quanto riannodano un rapporto con le nostre radici. E non è inutile in questo momento in cui veramente si sta perdendo progressivamente e sempre più quello che eravamo: le nostre peculiarità vengono in qualche modo a cadere. Per quello che riguarda il presente è molto più difficile essere tipici. Già quando si racconta l’Europa si racconta in realtà un Occidente più grande dell’Europa: non c’è così tanta differenza con un americano. Secondo me non è secondario dire da dove veniamo e chi siamo stati: è l’unico modo per capire il percorso che abbiamo fatto, se ha rappresentato un’evoluzione o un’involuzione, e se davvero stiamo migliorando e siamo diventati più intelligenti. Se non ci confrontiamo con qualcosa da cui deriviamo come possiamo dire "dove siamo". Questa è la ragione del nostro cinema".
D. Quanto pensate anche al lato commerciale e al riscontro del pubblico nella realizzazione di un film?
ANTONIO AVATI. È inevitabile pensare al riscontro del pubblico: sarebbe pazzesco se pensassimo di poter fare film contro tutti e che non piacciono a nessuno. Abbiamo però un’originalità nella scelta del cast, nella stesura del soggetto delle storie che sono sempre abbastanza alternative e spietate. Il fatto che Pupi sia l’unico regista italiano che percorra tutti i generi passando tranquillamente da un film gotico a una commedia, già dimostra che nei confronti del pubblico abbiamo un atteggiamento di riguardo rispetto alle altre produzioni
PUPI AVATI. Spesso certe scelte del cast sono molto legate al caso, alla circostanza, non c’è mai una premeditazione. Non saremmo qui se non avessimo mai pensato al pubblico, se ci fossimo ostinati a pensare al cinema come lo pensavamo agli inizi, facendo i nostri primi due film, che sono stati due grandi disastri della storia del cinema. Come avremmo potuto fare gli altri film? Fortunatamente poi le cose sono cambiate grazie anche alla bravura e alla disponibilità di un attore come Ugo Tognazzi, mettendo in moto un meccanismo che ancora funziona". (giovanni zambito\aise).

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