sabato 28 gennaio 2012

PARLA IL POLIZIOTTO I.M.D., AUTORE DI "CATTURANDI": COME SI STANANO I LATITANTI MAFIOSI

06 aprile 2009 - Nel libro "Catturandi. Da Provenzano ai Lo Piccolo: come si stana un pericoloso latitante" (Dario Flaccovio editore, pagg. 192, euro 12,00), l'autore, che si presenta per motivi di sicurezza con lo pseudonimo I.M.D., giovane poliziotto - classe 1973 - della mitica sezione Catturandi della Squadra mobile di Palermo racconta la caccia ai più pericolosi latitanti di Cosa nostra e rende partecipi i lettori degli appostamenti, pedinamenti, controllo del territorio, intercettazioni ambientali e telefoniche.
Attività che richiedono fiuto, attenzione, cautela, abilità e coraggio: I.M.D. ha accettato di parlare in un'intervista esaustiva e coinvolgente.
La voglia di raccontare la sua esperienza da poliziotto non rivela da una parte il desiderio di rendere pubblico lo sforzo e il lavoro a volte troppo nascosto della "Catturandi" e dall'altra anche un modo per uscire allo scoperto come persona dato che immagino che non possa essere libero nel parlare del proprio lavoro come comunemente si fa...?
"In questi ultimi anni, l'attività di polizia che ha portato all'arresto di importanti boss mafiosi, ha messo in evidenza la sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo, più volte ricordata e premiata per l'eccezionalità dei suoi uomini e della sua opera. Ma, al di là del racconto della cattura, quello che c'è dietro l'attività investigativa è sempre stato raccontato da chi, in realtà, non l'ha mai vissuto operativamente parlando sulla propria pelle. Magistrati e giornalisti, ad esempio, hanno scritto libri sull'argomento; docufiction di spessore come Scacco al re o Le mani su Palermo, hanno dato un volto televisivo a questo ufficio; io, per conto mio, sentivo il bisogno di dare il mio contributo comunicativo di offrire il mio punto di vista che poi, in realtà, era quello di uno che quelle vicende le ha vissute sia professionalmente che, diciamo, emotivamente. Aggiungo che il mio scopo ultimo non è autocelebrativo, ma divulgativo, nel senso che è rivolto a un pubblico interessato che, in poche ore, può apprendere in modo piuttosto semplice ma completo cosa si nasconde dietro un'indagine per la cattura di un latitante e, cosa ancor più importante, perché è necessario catturare un latitante nel più breve tempo possibile".
Tra le intercettazioni ascoltate e i pizzini letti quali l'hanno più colpita secondo due punti di vista: quello di poliziotto che scopre una verità e quello di chi riesce a 'conoscere' la personalità dei latitanti?
"Nell'arco della mia lunga carriera da grande orecchio, migliaia sono state le conversazioni ascoltate e decriptate. Raramente si è avuta la fortuna di individuare il telefono da cui parlasse direttamente lui, il target, il latitante. A memoria, ricordo solo Vito Vitale detto 'u Fardazza e Giovanni Brusca 'u Porcu. Sono i fiancheggiatori, i familiari, gli amici dei ricercati che ci permettono di stilare un quadro psicologico e relazionale del ricercato. Sono sempre loro che ci danno modo di raggiungere, elemento, dopo elemento, l'anello zero, colui cioè che tiene il latitante. Non dimenticherò mai, ad esempio, quando la moglie di un favoreggiatore di Totuccio Sciarrabba chiamò il marito al telefono per sapere come iddu voleva cucinata la pasta e questo rispose tranquillamente che, così come lui era abituato, un piatto di pasta al sugo e un pezzo di formaggio erano più che sufficienti. Durante la conversazione non si accennò mai al nome dell'ospite né alla sua posizione. Solamente l'operatore preposto all'ascolto capì, dal tono e dalle pause dei due coniugi, che iddu era sicuramente qualcuno di importante e soprattutto di passaggio. Sulla base di questa attività fu predisposto un servizio di osservazione e intercettazione ambientale che mostrò come l'intuizione dell'operatore di polizia fosse corretta. L'ospite improvviso era proprio Totuccio Sciarrabba, latitante, vicino ai corleonesi di Bernardo Provenzano".
E sui pizzini?
"I pizzini sono un'altra forma di comunicazione, detta unilaterale, usata spesso dai mafiosi perché ritenuta più sicura. In realtà, fin quando tali pizzini non costituiscono un archivio, effettivamente sono il mezzo più sicuro rispetto alle altre forme di comunicazione, ma anche questi offrono degli inconvenienti: sono lenti ad arrivare, si possono smarrire o deteriorare, non consentono repliche o chiarimenti immediati, ecc. Quelli che mi rimangono più impressi nella mente, ancora oggi, sono quelli che arrivavano a Provenzano dai mafiosi di Villafrati e Mezzojuso, ricopiati da tale Badami, con un computer, e inviati poi ad altri boss che li avrebbero fatti arrivare proprio a lui, al capo dei capi. In quei pizzini era descritta la vita quotidiana di Cosa nostra, elenchi di persone che chiedevano favori, resoconti di traffici illeciti, mediazioni per questioni di estorsioni, ecc. Uno spaccato di mafia e società".
In modo particolare ci può dire qualcosa su Provenzano?
"Quando si dice, ed è stato detto, che Provenzano era un vecchietto che non aveva più dove andare a ripararsi, tanto che lo abbiamo catturato a casa sua, a Corleone, in qualche modo si sminuisce il lavoro di decine di uomini delle forze di polizia e della magistratura, ma soprattutto si mette in dubbio la legittimità dell'enorme spesa fatta dallo Stato per riuscire, dopo ben 42 anni, a raggiungere tale obiettivo. Provenzano, come i Lo Piccolo ieri e Matteo Messina Denaro o Domenico Raccuglia (ancora latitanti) oggi, erano e sono criminali capaci di inquinare ogni aspetto della vita sociale, economica, culturale e politica di un paese. Provenzano non era affatto un vecchietto in piena crisi senile, ma un pericoloso criminale, autore di efferati delitti, che dal suo tugurio di Montagna dei Cavalli continuava a impartire ordini a un esercito perfettamente operativo. La guerra di mafia in atto nella provincia a ovest di Palermo, che include i comuni di Partitico, Borgetto, Cinisi, ecc., è  il frutto di una lotta di potere che coinvolge diversi boss criminali, tra i quali due latitanti. Dall'inizio dellanno ci sono stati più di 5 o 6 morti ammazzati, in quei luoghi".
Qualcuno ha messo in dubbio l'opportunità di impiegare ampie risorse per la cattura dei latitanti?
"Nonostante i diversi successi, i tagli indiscriminati al comparto sicurezza hanno fatto sì che, ad esempio, alla Squadra Mobile di Palermo venissero diminuite le ore di straordinario a disposizione degli uffici, che si riducesse il denaro disponibile per le missioni in provincia e fuori sede e che mezzi adeguati (nuovi e non usurati) potessero sostituire quelli ancora in uso. La risposta alla domanda è dunque un sì. Qualcuno ha messo in dubbio l'opportunità dell'impiego di risorse adeguate e sufficienti per giungere alla cattura dei latitanti e, più in generale, per fare la lotta alla mafia. Questo è il mio pensiero di poliziotto della Catturandi e di dirigente sindacale del SIAP (Sindacato appartenenti alla Polizia di Stato)".
"Fra inchieste-verità, ricerche e romanzi si torna a parlare della mafia: un bene, no?
"Che si parli della mafia in questo momento è certamente un bene, visto che qualche disinformato ha riferito di una mafia oramai sconfitta, e non è assolutamente così. Il problema nasce quando i mass media, però, enfatizzano alcuni aspetti del fenomeno, dimenticandone altri. Mafia equivale a dire morti innocenti, soprusi e ingiustizia. Se è questo a essere enfatizzato, anziché figure come Totò Riina o altri, allora va bene; viceversa si corre il rischio di arricchire un substrato culturale che, a mio avviso, deve essere ripreso e riqualificato. A Palermo, ma non solo, esistono quartieri dove essere mafioso significa essere rispettato, avere soldi e potere, quindi diventa un progetto ambito riuscire a entrare in Cosa nostra. La televisione soprattutto, e poi i giornali, devono rompere questo schema culturale e di pensiero, diffondendo i valori della legalità e del rispetto delle istituzioni, a discapito, qualche volta, anche di una sceneggiatura che può portare a maggiori ascolti o vendite".
A suo avviso, quale scrittore si è più avvicinato alla psicologia e al mondo di Cosa nostra?
"Ricordo che da ragazzo il primo libro che lessi in cui si parlava di mafia fu Il giorno della civetta di Sciascia. Poi conobbi personalmente Michele Pantaleone, uno scrittore giornalista di Villalba, comune in cui era stato sindaco don Calò Vizzini, con cui lo stesso Pantaleone si scontrò diverse volte. Pantaleone mi sembrò subito un perfetto siciliano, un furetto per fisionomia, uno di quelli che con lo sguardo ti leggeva l'anima e ne scriveva senza censure. Fu il primo che lessi e che mi parlò di cosa fosse la mafia, di quali intrighi fosse capace, di come fosse legata a doppio filo con la politica. Dopo Pantaleone, di scrittori che hanno parlato di mafia ce ne sono stati centinaia. In generale credo che il giornalista siciliano, ancor meglio se proprio del luogo, riesce a capire e quindi a descrivere le dinamiche della mafia e dei mafiosi".
Dacia Maraini ha affermato che per persone come Falcone e Borsellino è più giusto parlare di modelli che non di eroi per evitare di metterli sul piedistallo per poi dimenticarli. Lei che ne pensa? e come pensa a chi come lei è stato ed impegnato in prima linea contro la mafia?
"Qualche giorno fa sono stato invitato come dirigente sindacale della Polizia di Stato, in una scuola media di un paesino della provincia di Trapani dal presidente della prima associazione antiracket del paese. A causa di una incomprensione, il presidente dell'associazione, anche lui appartenente alla Polizia di Stato (non un caso, in un paese ad alta densità mafiosa), disse ai bambini presenti che io ero un componente della Catturandi e mi presentò come un eroe moderno. I ragazzini, di età compresa tra gli undici e i quattordici anni, cominciarono ad applaudire, erano felici di avere un eroe nella loro classe, proprio lì, vivo, in carne e ossa, vicino a loro. Il mio intervento doveva essere incentrato sulla legalità. Ma a quel punto non potei non fare una debita premessa, un po' fuori tema forse, ma sicuramente necessaria: ringraziai i ragazzi e il mio presentatore, ma rifiutai con forza l'appellativo di eroe moderno".
E che cosa disse loro?
"Spiegai che io non mi sentivo e non mi sento un eroe, ma soltanto una persona, un cittadino, un dipendente pubblico che, costantemente, giorno dopo giorno, cerca di fare il suo lavoro con scrupolo e nel rispetto delle regole. Gli eroi muoiono, la società li seppellisce e ne esalta il ricordo. Chi rimane - i figli, le mogli, i genitori, gli amici - sono quelli che continuano a soffrirne la perdita, ma il resto della gente, inconsapevolmente e naturalmente, tenderà a dimenticare. Quello che non sarà mai dimenticato, e concordo con la Maraini, è un modello. Ed è questo modello che io voglio diffondere: la sezione Catturandi è un ufficio d'élite, e non perché i suoi membri sono super addestrati e super eroi, ma perché lavorano tenendo a mente che il loro obiettivo è garantire una vita migliore alla società. Per questo lavorano con il massimo dell'impegno e il massimo della professionalità, e al contempo si divertono. La loro, la nostra, è una missione dai risvolti sociali. Sconfiggere la mafia deve essere un obiettivo comune, di tutti e a cui tutti possono contribuire semplicemente facendo il proprio dovere: di studente, di cittadino, di professionista, di imprenditore, di poliziotto, di magistrato, di politico, ecc. In una società siffatta non ci sarà più bisogno di eroi e Cosa nostra sarà sconfitta. Non è un'utopia: basta solamente volerlo".
Complimenti per avere inserito sia i verbali che le diverse fotografie: anziché annoiare il lettore lo coinvolgono maggiormente... Chi ha avuto l'idea di organizzare il volume in questa maniera variegata?
"Il volume nasceva come un compendio per gli studenti di Scienze politiche sul tema della latitanza. Poi ha preso forma da solo ed è diventato il libro che è. Alcuni consigli e suggerimenti, però, sono il frutto dell'opera di una grande professionista, Raffaella Catalano, editor di Dario Flaccovio, la casa editrice che ha pubblicato il libro". Giovanni Zambito.

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