sabato 19 marzo 2011

GABRIELE SALVATORES PARLA DEL FILM "HAPPY FAMILY": «Il cinema può contenere tutto ma non dire bugie»

22 marzo 2010 - Due famiglie incrociano i destini a causa dei figli quindicenni caparbiamente decisi a sposarsi. Un banale incidente stradale catapulta il protagonista-narratore, Ezio, al centro di questo microcosmo, animato da genitori, figli, nonne e cani. È la sinossi di Happy Family, l'ultimo e riuscitissimo film di Gabriele Salvatores, in uscita nelle sale italiane il prossimo 26 marzo in quasi 300 copie prodotto da Colorado Film e Rai Cinema e che vanta un cast tanto variegato quanto bravo: Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy, Carla Signoris, Valeria Bilello.

Tratta dall'opera teatrale rappresentata all'Elfo di Milano di Alessandro Genovesi che con il regista ha scritto la sceneggiatura, la pellicola finisce con una serie di inquadrature poetiche in bianco e nero sulla notte milanese che fa vedere una città che di giorno solitamente non si vede, afferma il regista. I tasti del pianoforte sono bianchi e neri, dissolvendo sulle guglie del Duomo anch'esse bianche e nere per creare un cuore all'interno del film un po' diverso dal resto. I visi che si vedono sono reali presi nella strada mentre tutto il resto molto costruito.
A livello cromatico c'è pure il giallo dellincidente, il verde dell'ospedale, il beige del ricovero: che legame c'è tra le scene, il loro contenuto e il colore?
Mettevamo in scena un qualcosa rappresentato e immaginato dallo sceneggiatore per distaccarci dal concetto realistico: Milano sempre inquadrata dal basso a tagliare fuori la strada che rappresenta la realtà che non si può gestire. La scelta cromatica sottolinea tutto ciò: con i costumi e la scenografia si cercava di andare in una direzione e mantenerla costantemente nelle scene. Una ricerca che dovrebbe essere maggiormente perseguita dal cinema italiano che molto spesso invece ha una rappresentazione molto vicina alla televisione. 
I personaggi che si animano di vita propria si ravvisano in Pirandello, Shakespeare, Calderon de la Barca: perché la commistione tra reale e finto? nella sua carriera di regista qualche personaggio le è sfuggito di mano?
Per chi fa cinema è molto faticoso scindere tra realtà e finzione: con ogni film si entra in un altro mondo e si confondono le due dimensioni. E' molto pericoloso specialmente se sei più bravo e sperimentatore sul set che nella vita come me. Tra i personaggi che mi sono sfuggiti mi è successo quasi sempre con Diego Abatantuono, mentre il ruolo di Fabio De Luigi che impersona lo sceneggiatore è esattamente il mio alter ego.
Perché ha scelto di dare un finale positivo al film?
Viviamo momenti in cui l'happy end sembra non arrivare mai: siccome il cinema deve suscitare in qualche modo desideri e rievocare fantasmi, qui rievochiamo il fantasma di un happy end. La famiglia non è una tradizionale, ma raffigura tutti noi che stiamo su questo pianeta e la felicità è un nostro diritto: a volte siamo noi stessi a negarcela, molto fanno gli altri per negarcela soprattutto quelli che dovrebbero occuparsene.
E la suddivisione in tre capitoli?
Il primo Personaggi e interpreti rappresenta noi quando arriviamo al mondo e non ci relazioniamo ancora con gli altri, con un copione forse scritto da qualcun altro per noi. Se si aprono le relazioni con gli altri scattano le confidenze, il secondo capitolo: dare fiducia oggi è difficile, anche se c'è chi la pone spesso in altri ambiti. Le confidenze sono necessarie per poter poi creare nel terzo capitolo una family. Tre fasi che corrispondono anche al processo creativo di quando si scrive una storia o si fa un film: parti da personaggi che ancora non hanno relazioni tra di loro, poi li metti in rapporto e diventa una storia che coinvolge anche dei sentimenti. E' quello che succede nel film e che i personaggi chiedono all'autore.
Quanto c'è del Salvatores politico nella frase "la gente non la si può prendere in giro"?
E' il mio credo rispetto al cinema ma va bene pure per la politica. Il cinema è un enorme mare che può contenere tutto ma non può dire bugie: di riflesso effettivamente viviamo in un'epoca in cui si dicono tante bugie e il discorso tra vero e falso che mi ossessiona da un po' è di grande attualità. I telegiornali molte volte sono realtà virtuali.
C'è un riferimento a un direttore di cui si parla molto ultimamente?
Il discorso è ben più ampio. Il potere di un telegiornale e delle immagini è anche quello di dire le bugie o di omettere delle cose. Mia madre ancora mi dice "è vero, l'hanno detto in televisione". Molte responsabilità ce l'abbiamo anche noi del cinema.
Come vede l'Italia oggi?
Io adoro lItalia e i miei concittadini, ma noi italiani siamo un po' Pulcinella e un po' Arlecchino servitore di due padroni. Non abbiamo il concetto di Stato che invece è nostro di diritto: noi paghiamo coloro che ci rappresentano affinché si prendano cura di noi, ma è la comunità ad essere sovrana; purtroppo noi la politica la deleghiamo e da sempre c'è chi si approfitta di questa delega. In altri paesi non succederebbe perché c'è un maggior senso dello Stato.
Un tema del film è la paura: qual è può essere un buon antidoto?
L'antidoto alla paura è guardarsi in faccia e dialogare, la vicinanza: abbiamo paura di ciò che non conosciamo.
E la religione, che di per sé dovrebbe legare le persone, crea secondo lei scissione?
Bello questo: non avevo mai pensato al significato del termine in sè. Se fossi ministro dellistruzione metterei obbligatorio lo studio delle religioni proprio per compararle perché le guerre sono sempre state fatte in nome dei soldi o di un dio. La religione quindi è pericolosa se usata in questa maniera: Dio siamo noi. Giovanni Zambito, Il Clandestino.

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