mercoledì 1 gennaio 2014

Intervista a Mons. Luigi Bommarito: “A 80 anni mantengo intatta la gioia del ministero”

A Siculiana, in occasione dei festeggiamenti dedicati al SS. Crocifisso, S.E. mons. Luigi Bommarito, vescovo emerito, ha presieduto la celebrazione eucaristica del 2 maggio, giorno tradizionalmente dedicato nel pomeriggio alla “calata di lu velu”, attraverso cui l’effigie miracolosa del Crocifisso nero viene mostrata ai fedeli e ai pellegrini che numerosi accorrono alla festa.
Durante l’omelia ha sottolineato la forza sconvolgente dell’amore di Cristo per tutti noi, un amore che va riscoperto e difeso dalle negatività e dalle tentazioni che possono farcene dimenticare la portata straordinaria, la bellezza e la novità. E’ da alcuni anni, ormai, che mons. Bommarito ha lasciato l’Arcidiocesi di Catania, ma non per questo sembra essersi fermato. «L’attività per grazia di Dio continua - ci dice -; sono un vescovo itinerante: la Quaresima è stata intensissima. Non ho il peso del governo di una diocesi, ma conservo intatta la gioia del ministero».
Torna spesso a Siculiana ma in generale nella diocesi di Agrigento: che ricordo ne conserva oggi?
Mantengo un ricordo di Agrigento profondamente inciso nel cuore, non solo perché come recita un famoso detto “Il primo amore non si scorda mai”, ma perché sono stati anni sotto qualche aspetto non facili, ma nel complesso estremamente ricchi, positivi e fecondi.
Può ricordarci gli inizi?
Dopo un anno del mio arrivo nella diocesi, mentre era vescovo l’indimenticabile mons. Giuseppe Petralia, ho avuto modo di conoscerla per intero, nei suoi singoli paesi. Questo mi ha molto facilitato negli anni successivi del mio ausiliarato e poi quando sono stato nominato vescovo di Agrigento.
Dopo Agrigento ha retto l’Arcidiocesi di Catania. Ha notato delle differenze fra le due realtà nell’approccio verso la fede e la vita in generale?
Ci sono più rassomiglianze che divergenze. Per quanto concerne l’approccio con la realtà partivo giovato dall’esperienza agrigentina. Per la fede, in entrambe le diocesi, convivono una modalità tradizionale e una più “moderna”, sintonizzata con le direttive del Concilio Vaticano II.
Il primo giugno raggiungerà l’importante traguardo degli ottant’anni. Forte della sua esperienza, come vede adesso il mondo, in che cosa lo vede cambiato?
Stiamo attraversando una fase di trapasso molto delicata. Nella “Ecclesia in Europa” Giovanni Paolo II parlava di una tentazione diffusa e pericolosa, quella cioè di un offuscamento della speranza. È un momento nel quale la Chiesa si deve mobilitare per ritrovare nel Risorto quel fiotto di speranza che affonda le sue radici nel sepolcro vuoto di Cristo, che per noi si trasforma in ottimismo e certezza nelle parole di Gesù quando dice “Non temete. Non sia turbato il vostro cuore. Io ho vinto il mondo”.
Venerdì (oggi per chi legge, ndr) Lei presiederà un incontro con i presbiteri. Oggi quali sono le esigenze di un prete?
Il sacerdote ha bisogno di ritrovare ogni giorno sempre più fermento ed entusiasmo: cosa che si può facilmente ottenere coltivando un’intima amicizia con Gesù. È Lui la nostra forza, la roccia che ci tira fuori dalle secche, dalle sabbie mobili della tiepidezza.
Il primo pensiero che fa la mattina appena sveglio…
Rivolgo il mio primo pensiero a Dio, che mi sta facendo arrivare agli ottant’anni e in modo più che accettabile. A Lui dono la mia vita e affido tutti i palpiti del mio cuore.
... e l’ultimo pensiero della sera prima di addormentarsi
Lo ringrazio della giornata trascorsa, della vita che vorrà ancora donarmi e imploro perdono per i miei peccati passati e per quelli presenti. Spero di no per quelli futuri. (L'amico del Popolo, 2 maggio 2006).

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