domenica 29 dicembre 2013

Libri, Silvano Messina nel romanzo d’esordio racconta la storia de “L’ultima matriarca”. L’intervista

Nato nel 1949 a Racalmuto (Ag), il paese di Leonardo Sciascia del quale è parente per parte materna, Silvano Messina è Medico Cardiologo e Pneumologo: ha da poco esordito nella scrittura con il romanzo “L’ultima matriarca” (Armando Siciliano editore, pagg. 320, € 20,00) con cui concorre alla terza edizione del Premio Letterario “Torre dell’Orologio” di SiculianaLo abbiamo intervistato.
Il sottotitolo recita “Uno scorcio di vissuto e di costume nella Sicilia del Novecento”: potrebbe contestualizzare in maniera più circoscritta la storia che racconta?
È la storia di una donna vissuta in contesto familiare di povertà, costretta a trasferirsi, ancora bambina, dalla zia, la vera matriarca, per un dissesto finanziario del padre, uomo ignavo. La zia riuscirà, tra stenti, a sfamare due famiglie, la sua e quella di Carmela. Nel connubio, in mezzo a tutti i maschi, per lo più inetti, la zia prima e la nipote dopo governeranno con un potere assoluto. La protagonista la ritroviamo sposa bambina a misurarsi con l’unico vero uomo della sua vita. Data
l’immaturità, l’autorità, la profonda educazione religiosa che le fa prefigurare l’atto sessuale come un peccato, andrà incontro ad incomprensioni col marito, per cui, sollecitata da zia e madre, romperà quell’unione dopo circa un anno, tornando a casa incinta di un bimbo che non saprà educare, intrattenendo  con questi per tutta la vita un rapporto freddo. Essa, tanto perspicace e forte, si lascerà convincere dal figlio, dopo venti anni, a tornare a vivere col marito: un altro fallimento con l’aggiunta dell’umiliazione, per volere del marito, donnaiolo, di  assistere ad un rapporto sessuale tra il coniuge e la sua concubina. Passerà il resto della vita a riscattarsi da questa onta, combattendo contro un destino avverso. Da qui tutta una serie di vicende farsesche e grottesche per affermare una volontà di potenza. Quando si è liberata degli ultimi due maschi della sua vita, i fratelli, di cui, uno alcolizzato e l’altro minorato, ha superato abbondantemente i 70 anni. Convinta di avere raggiunto il massimo della libertà, riipeterà a sé stessa la frase “Sulità, Santirà”. Ma il declino psico-fisico, le mutate condizioni socio-economiche a poco a poco le faranno avvertire tutta la dimensione della solitudine. Ciò nonostante, per garantirsi fino alla fine la sua autonomia, non accetterà l’aiuto di nessuno, neanche del figlio, per cui deciderà di finire i suoi giorni in un ospizio. Qui, ritrovate tante di quelle amiche che solevano farle visita a casa per riverirla, il suo ultimo tentativo d’imporre la sua volontà e di sovvertire il ordinamento di quel sodalizio: non si rende più conto del suo anacronismo (siamo nel 1992); per di più cozza contro un’altra matriarca, la suora responsabile della casa di riposo. Alla fine sarà Carmela a soccombere, trovando un riscatto negli ultimi istanti della sua vita.
Lei è Medico Cardiologo e Pneumologo: per questo suo primo romanzo è stato più difficile scrivere l’incipit o le ultime righe?
Le ultime righe.
“L’ultima matriarca” rappresenta per lei il romanzo che ognuno di noi vorrebbe scrivere?
Non credo proprio. Ognuno scrive secondo la sua ispirazione e la propria formazione; non è un problema di categorie professionali.
Seppur indirettamente, lei è parente di Leonardo Sciascia: un’ombra abbastanza ingombrante, non crede?
Sicuramente lo è. Credo che ben pochi, alla mia prima esperienza faranno accostamenti con lo scrittore di Regalpetra e questo mi rassicura. Sono convinto che non sarò mai alla sua altezza; tuttavia la sua ombra mi stimola e sento che mi incita a continuare per il mio cammino.
Che cosa vorrebbe prendere dalla sua scrittura e dalla sua lucidità narrativa?
La capacità di indagare, di leggere nelle pieghe della storia e di giganteggiare nella conoscenza dell’animo umano. Apprezzo molto la sua ironia con la quale riesce a camuffare momenti drammatici della vita di un uomo.
In quale aspetto il personaggio del romanzo si rivela una matriarca?
La matriarca è una donna forte ed autoritaria. Dilata a più non posso il suo ruolo nel menage familiare: è una domina; il suo regno è la casa della quale governa i ritmi, gelosa vestale che custodisce gli antichi valori, dove decide il tipo di educazione dei figli, dove riceve, come un’antica matrona romana, conoscenti e passanti che la riveriscono semplicemente o si rivolgono a lei per farsi ragione di una lite o vogliono scritta una lettera, rendendola partecipe delle loro intimità; il suo regno è anche la strada, un angusto territorio, spesso segnato come confine dalla possibilità di allontanarsi delle galline; lo sconfinamento era motivo di liti furibonde; nella strada la matriarca deve farsi rispettare ed imporre, se possibile il suo dominio, poiché deve confrontarsi con altre matriarche.
Perché è l’ultima?
Perché personaggi così non esistono più, non per un’estinzione biologica, ma antropologica. La matriarca esiste finché persistono gli antichi valori, duri a morire nella nostra Sicilia; quando finalmente arriva negli anni ’60 la seconda rivoluzione industriale anche la donna viene assorbita nel mondo del lavoto. Paga a caro prezzo la conquista socio-economica, poiché il suo ruolo non è più ben preciso, confuso con quello maschile; deve abbandonare la casa, la strada, non dare più udienze, insomma perde il suo regno.
La foto della copertina è quella che le ha ispirato storia e caratteristiche della protagonista?
La foto della copertina è molto attinente alla figura della matriarca. La donna, non a caso ritratta in piedi, è la zia della protagonista. La composizione dei personaggi della foto per me è allegorica: la donna con lo sguardo perso nel vuoto, esprime tutto il fardello della conduzione familiare; col suo braccio sulla spalla del marito sembra soggiogarlo, ma al tempo stesso rassicurarlo: l’uomo infatti, sotto il giogo di quel braccio, dà l’impressione di sorridere beato davanti all’obbiettivo. (15 ottobre 2012).

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