mercoledì 15 luglio 2015

Libri, intervista a Massimo Lugli su "Il guardiano"

Il guardiano di Massimo Lugli (Newton Compton Editori, ebook, €3,99).
Marco Corvino sembra non maturare in questo libro: alle spalle si lascia ancora fallimenti e soprattutto parecchie vittime. Non è facile simpatizzare con lui... 
No, secondo me non è così. Credo che Marco sia un personaggio accattivante proprio per i suoi fallimenti, dovuti alla sua irriducibile testardaggine ma anche alla sua dignità professionale, cui non intende rinunciare. Le vittime, del resto, non sono certo sue, la sua colpa semmai è quella di non riuscire a evitare altri omicidi in tempo ma in fondo è solo un giornalista. E su questo voglio insistere: Marco non è un detective ma un cronista che suo malgrado, di volta in volta, viene trascinato in giochi più grandi di lui e questo, se mi permettete l'immodestia, ne fa un personaggio inedito tra tanti commissari e tanti investigatori divenuti un clichet. Anche perchè è difficile che chi scrive di giornalisti li conosca sul serio.
Oltre alle arti marziali, anche ne "Il guardiano" compaiono le tue stoccate al mestiere di giornalista e al clima redazionale: in tal senso quanto c'è di te nelle considerazioni che fa Corvino? 
Tantissimo. Le "stoccate" redazionali vogliono descrivere un mestiere che, di anno in anno, cambia in peggio, si cialtronizza, rinuncia alle sue prerogative di controllo della verità. Naturalmente non è solo così e le grandi inchieste di Repubblica e di altri giornali lo dimostrano ma sta di fatto che il clima nelle redazioni è sempre più quello che appare nei miei romanzi e la letteratura mi fornisce un ottimo strumento per denunciarlo. Marco (e mi riallaccio alla domanda precedente) in questo senso resta un puro, uno che va sul posto a qualunque ora del giorno e della notte, che scrive quello che vede e quello in cui crede, non si fa influenzare e lo sconta sulla sua pelle. Non fa carriera ma è fedele a se stesso.
Anche nel fare il giornalista (e nella vita) bisogna "conservare nella fatica fudoshin, "la mente immobile", ascoltare senza distrarsi e continuare a colpire"? 
Fudoshin è un concetto zen estremamente complesso che rendiamo con la parola "mente immobile" ma significa molto altro: stabilità, azione immediata, spesso senza pensare, tensione assoluta e totale verso la meta. Sarebbe molto bello riuscire ad applicare questi principi alla vita quotidiana e al lavoro, qualunque lavoro ma lo può fare solo chi ha una lunga pratica nelle arti marziali, nella meditazione o in qualche altra disciplina corpo-mente alle spalle. Io pratico da quando avevo 9 anni e ci sto provando....Ma riuscirci è un'altra faccenda e del resto conta poco. In tutte le arti marziali (vedi "Lo zen e il tiro con l'arco") la via, la pratica è molto più importante del risultato. Provo anche a fare mio il concetto taoista di Wu Wei, non opporsi alla forza, lasciar andare (che non significa passività ma adattamento) ma devo fare i conti col mio caratteraccio, decisamente poco taoista.
Parli molto del rapporto fra nerista con polizia e carabinieri: in base alla tua esperienza, la stampa è stata spesso determinante nella soluzione di alcuni casi? 
No, la stampa difficilmente risolve un caso...E' accaduto un paio di volte, forse tre nei miei 37 anni di cronaca nera. Ma i media hanno un importantissimo ruolo nello stimolare gli investigatori. Il clamore che si crea attorno a un delitto o a un'altra storia di nera, spesso, determina e le energie e la grinta con cui polizia o carabinieri affrontano l'indagine. Io mi vanto di aver individuato, prima della Digos, l'internet point da dove le nuove Br rivendicarono l'omicidio di Massimo Dantona e la "scoperta" delle imprese di Joe Codino, il maniaco di Montesacro (siamo negli anni 80). Una volta, in giro con una volante della polizia, ho praticamente arrestato un rapinatore che aveva appena fatto irruzione a casa di una pensionata ma è stato solo un colpo di...fortuna.
La scrittura narrativa ti ha trasmesso più carica ed enstusiasmo anche per quella giornalistica? in che cosa si sono aiutate l'una con l'altra?
Si, la narrativa influenza il giornalismo e viceversa, almeno per me. La meravigliosa opportunità che ho avuto dalla Newton Compton mi ha infuso molto più entusiasmo nel mio lavoro quotidiano, divenuto anche fonte di ricerca di storie che spesso compaiono nei miei romanzi. E da quando posso definirmi (anche se ancora non ci credo) uno scrittore sono molto più sicuro di me anche nel day by day. I mei libri, del resto, piacciono molto ai colleghi per i motivi che elencavo prima e questa è una grande soddisfazione.  Dico spesso che per me il giornalismo è il pane e la narrativa le rose, l'una complementare dell'altra come lo yin e lo yang del tai chi. Intervista del 26 luglio 2012. 

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