domenica 19 luglio 2015

Esclusivo, Piero Grasso: "La mafia ci priva di libertà, democrazia e giustizia"

Nel foyer del Teatro Argentina ieri pomeriggio ha avuto luogo la presentazione del libro "Il codice Provenzano" di Salvo Palazzolo e Michele Prestipino (Laterza, pp. 332, € 15,00). Oltre all'attore Michele Placido che ha letto alcuni famosi 'pizzini' del boss, era presente Piero Grasso, Procuratore nazionale antimafia che ha fatto il punto della situazione su chi era Bernardo Provenzano e sulla organizzazione interna di Cosa Nostra. Alcuni pizzini ci restituiscono un boss impegnato in una solerte opera di mediazione soprattutto nel periodo seguito alle stragi.

"L'opera di mediazione - spiega Piero Grasso - è un'esigenza organizzativa e al contempo un direttiva strategica. Dopo le stragi, in virtù di una rivolta morale e sociale, Cosa Nostra ha subito parecchi colpi".


Quali per esempio? 
"Gli arresti di capimafia e i tanti collaboratori di giustizia. Ci sono stati anche degli autogol: per esempio l'omicidio del piccolo Di Matteo ha tolto consensi all'organizzazione che doveva conservare il mito per il quale non si devono colpire donne e bambini. Ora la mediazione come essenza del comando è un ritorno all'antico, un tentativo di convivere con la società e di partecipare al potere e alla gestione degli affari".


Dalle parole espresse con i pizzini Provenzano sembra quasi un saggio… 
 "Appare come un saggio ma non lo è stato: anni prima era un mafioso assolutamente diverso. Ora interpreta la capacità di Cosa Nostra di adattamento, coniugando regole formali con l'ambiguità; era stato un killer operativo ed era chiamato 'u tratturi perché anche se lentamente arrivava all'obiettivo. Ha gestito la guerra di mafia negli anni '80 con Riina e le stragi di Falcone e Borsellino".


E lo spiccato senso religioso? 
"Nel suo rifugio sono stati trovati 71 santini raffiguranti Gesù o la Madonna, per non parlare di quadri, libri ecclesiastici e la Bibbia. C'è sempre stata una forte religiosità nell'organizzazione. Tempo fa interrogavo un collaboratore di giustizia che si professava autenticamente religioso e osservante nonostante le centinaia di omicidi commessi; mi disse: Dottore, le assicuro che io non ho commesso nessun omicidio per mio interesse personale e Dio lo sa!"


Com'è possibile? 
"Si sentono come soldati che combattono per una guerra giusta: invocano Dio mentre vanno a commettere un omicidio perché hanno un concetto di giustizia al di fuori delle regole che abbiamo tutti. È un codice comportamentale, importante per comprendere anche le strategie e la struttura della attività che fanno di Cosa Nostra qualcosa di diverso e unico".


Quali strategie sono emerse nel "codice Provenzano"? 
"Soprattutto il non commettere errori ma indurre gli avversari a farli: con questo sistema i Corleonesi sono riusciti a conquistare il potere ai palermitani attraverso delle provocazioni come alcuni rapimenti e sequestri di persona che non andavano fatti mettendo in difficoltà chi aveva il potere. Avevano pure deciso di uccidere Riina che alla fine scoprì il complotto ed ebbe il placet dell'organizzazione per essere riconosciuto come capo nonostante la presenza del 'papa', cioè Michele Greco".


Come mai la gente continua a chiedere favori alla mafia?
 

"Apparentemente conviene farlo ma quando in cambio ti chiede qualcosa sei obbligato a farlo, entrando così in uno stato di sudditanza da cui è difficile uscire: è il sistema di relazioni di Provenzano, cementato da interessi e codici culturali, formato da boss e persone di apparente visibilità legale come professionisti, imprenditori, commercialisti, amministratori, politici. Era una sorta di club e chi non faceva parte era escluso dall'ottenere alcune cose".


Che cosa si chiede? 
"Di tutto. In uno scambio di lettere con Giuffè s'è trovata pure la traccia di una raccomandazione per un esame e c'era scritto Mi fa piacere che il professore si è comportato bene con tuo figlioccio.
Se non c'è un cambio della società è difficile sconfiggere la mafia e la sua repressione a volte diventa come svuotare l'acqua con un canestro: oggi bisogna scegliere da che parte stare".


E il legame con la politica? 
"L'azione di repressione ha provocato una rarefazione nel sistema di relazioni e le occasioni diventano più rare per paura di rimanere coinvolti nelle indagini soprattutto da parte dei politici che per Genovese e Giuffrè erano inaffidabili perché mostrano "miserabilitudine" in quanto si ritraggono e non mantengono le promesse fatte. Oggi questo rapporto è meno sicuro per il pericolo che ci possano essere infiltrati o sbirri"


Che pensa della possibilità di non far candidare politici che hanno avuto condanne o procedimenti in corso?
"Già nel '91 avevamo proposto un Codice di autoregolamentazione e oggi la Commissione Antimafia ha riproposto la questione: si aspettano adesioni, ma forse non si è ancora maturi. Se non si è fatto a livello nazionale, figuriamoci se sarà fattibile a livello locale"


I giovani che idea hanno della mafia? 
"I giovani devono essere informati, devono capire. Molti di loro possono non sapere chi fossero Falcone e Borsellino perché non c'erano e dalla loro morte sono passati già quindici anni"


All'ultimo Festival di Sanremo ha vinto una canzone che parla di mafia. La musica può servire a veicolare un messaggio contro la mafia? 
"Tutto deve e può essere un veicolo per parlare di queste cose. La mafia non è solo un'organizzazione criminale: è la privazione della libertà, della democrazia, della giustizia ed è metafora per altre libertà che dobbiamo conquistare"

Giovanni Zambito (affaritaliani.it, 26 aprile 2007)

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