domenica 30 dicembre 2012

Il diavolo veste mafia, Alessandro Chetta spiega come "il merchandising sui criminali annulla bene e male". L'intervista

Booktrailer. Magliette, spille, felpe, peluche, stickers, poster politicamente scorretti, dedicati a criminali immaginari o reali, a nemici politici e terroristi. Bene e male si confondono: viaggio nel mondo dei rebel chic. L'appiattimento dei valori rende divi e vendibili nei negozi, su internet e sulle bancarelle il narcotrafficante Escobar e lo stragista Breivik, le Brigate rosse e la banda della Magliana. Simboli ad alta definizione che il maquillage omologante dei nuovi media tende a rendere meno offensivi o spaventosi. Quando cade il tabù l'acquisto del più terribile dei mostri contemporanei è libero e liberatorio. Tutto questo nell'ebook "Il diavolo veste mafia" (Malitalia, 731,4 KB, € 5,99): Fattitaliani ha intervistato l'autore Alessandro Chetta.

 Partendo dal sottotitolo... qualcuno non potrebbe rispondere che il merchandising di per sé deve essere "amorale"?
"Il merchandising è, appunto, merce, quindi di per sè privo di una morale che non sia quella del mercato. Il focus del libro però investe un campo di valori e disvalori (criminali, mafie, terroristi, ecc.) che ad un primo impatto non lascia indifferenti. Quindi, l'incontro tra un bene a-morale come una t-shirt e un quid immorale come la faccia dello stragista Breivik ci appare in un primo momento repellente. Il lavoro sociale, io scrivo di "pastorizzazione", che nel tempo abbatte o mitiga il tabù Breivik e lo rende commerciabile negli store online determina una cosa ben precisa: rende a-morale ciò che prima era detestabile. Quindi annulla bene e male. Per l'acquirente non cambia nulla se sulla t-shirt c'è lo stragista o Nelson Mandela. Un processo che ritengo un tantino inquietante. Cosa che non fa, ad esempio, Spiderman, personaggio neutro: una maglietta dell'Uomo ragno resta sempre a-morale".
Da un'osservazione personale come si è via via sviluppata l'idea tanto da farci una monografia?
"Ho sempre osservato con attenzione il modo di vestire, l'abbigliamento, primissimo segnale di comunicazione. Oggi le "bande" giovanili sono mischiate come una playlist ma negli anni 90 le connotazioni erano marcate: da un lato della piazza i metallari, dall'altro i punk e i b-boy, in fondo i dark e i pariolini. Ecco: quando, da osservatore, nei primi anni del nuovo secolo ho visto spuntare felpe "Take cocaine", "Brazo de la muerte" e "Corleone's family" ho subito avvertito lo strano cambiamento. La divisione identitaria iniziava a riconoscersi, ahimè, per citazioni e non per lo stile. L'idea della monografia nasce dall'accumulo di molto materiale nel tempo".
I giovani sono coscienti di chi è l'effigie stampata sulle magliette o i gadget che acquistano?
"Credo che ci siano giovani consapevoli e quindi felici, contenti loro, di trasgredire a buon mercato. E giovani inconsapevoli nel senso che pur sapendo genericamente che la camorra è "male" non ci pensano due volte a concedere un "mi piace" al gruppo Facebook che inneggia ai clan. La realtà restituita da uno schermo è depotenziata e i ragazzi deresponsabilizzati. Il corto circuito però può avere conseguenze pericolose nelle scelte di ogni giorno".
Chi ne è cosciente da che cosa è attratto a tal punto da esibirla in modo naturale?
"Immagino che la banda della Magliana, depurata del suo retaggio reale a favore dell'irreale letterario, filmico e televisivo, sia certamente cool. Chi è cosciente del fascino del gangster all'italiana vuole assaggiare un tipo di disubbidienza conformista: il Dandy e Libano infatti sono oggi simboli di ribellione ma allo stesso tempo conformi alle regole del mercato: se ammazzano lo fanno per finta sul set. L'alone da cattivi però resta. Perciò per un adolescente sono più fighi loro di Gino Strada".
La cosa che ti ha più colpito di questo merchandising omologante?
"I venditori. Su un sito ho trovato in vendita stickers con la scritta "Israel kills". Al di là del messaggio era la presentazione a suonare grottesca. "Un pacco da cento stickers a soli 6 euro, approfittate". Sembrava vendesse shampoo o lamette da barba. Il vero annullamento del bene e del male avviene in primis nel modo in cui vendi questo tipo di merchandising, e cioè in una maniera che in nulla si distingue dai prodotti normali".
Se frasi e immagini vanno chiaramente contro ciò che comunemente si definisce e si accetta come "bene", non c'è alcuna autorità che possa intervenire in tal senso?
"Alcuni sociologi interpellati nel libro parlano di mancanza o di assottigliamento dei filtri. E' vero: il filtro, la capacità di critica e discernimento su quanto ci circonda, possono fornircela in gran parte la scuola e in genere le agenzie educative, tra cui la famiglia. Può sembrare banale ma da qui non si scappa. Internet è un sacco e dentro ci ritroviamo solo ciò che ci mettiamo, non può educare a nulla". Giovanni Zambito. (www.fattitaliani.it, 29 dicembre 2012)
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