A Siculiana, in occasione
dei festeggiamenti dedicati al SS. Crocifisso, S.E. mons. Luigi
Bommarito, vescovo emerito, ha presieduto la celebrazione eucaristica
del 2 maggio, giorno tradizionalmente dedicato nel pomeriggio alla
“calata di lu velu”, attraverso cui l’effigie miracolosa del
Crocifisso nero viene mostrata ai fedeli e ai pellegrini che numerosi
accorrono alla festa.
Durante l’omelia ha sottolineato la forza
sconvolgente dell’amore di Cristo per tutti noi, un amore che va
riscoperto e difeso dalle negatività e dalle tentazioni che possono
farcene dimenticare la portata straordinaria, la bellezza e la
novità. E’ da alcuni anni, ormai, che mons. Bommarito ha lasciato
l’Arcidiocesi di Catania, ma non per questo sembra essersi fermato.
«L’attività per grazia di Dio continua - ci dice -; sono un
vescovo itinerante: la Quaresima è stata intensissima. Non ho il
peso del governo di una diocesi, ma conservo intatta la gioia del
ministero».
Torna spesso a
Siculiana ma in generale nella diocesi di Agrigento: che ricordo ne
conserva oggi?
Mantengo un ricordo di
Agrigento profondamente inciso nel cuore, non solo perché come
recita un famoso detto “Il primo amore non si scorda mai”, ma
perché sono stati anni sotto qualche aspetto non facili, ma nel
complesso estremamente ricchi, positivi e fecondi.
Può ricordarci gli
inizi?
Dopo un anno del mio
arrivo nella diocesi, mentre era vescovo l’indimenticabile mons.
Giuseppe Petralia, ho avuto modo di conoscerla per intero, nei suoi
singoli paesi. Questo mi ha molto facilitato negli anni successivi
del mio ausiliarato e poi quando sono stato nominato vescovo di
Agrigento.
Dopo Agrigento ha
retto l’Arcidiocesi di Catania. Ha notato delle differenze fra le
due realtà nell’approccio verso la fede e la vita in generale?
Ci sono più
rassomiglianze che divergenze. Per quanto concerne l’approccio con
la realtà partivo giovato dall’esperienza agrigentina. Per la
fede, in entrambe le diocesi, convivono una modalità tradizionale e
una più “moderna”, sintonizzata con le direttive del Concilio
Vaticano II.
Il primo giugno
raggiungerà l’importante traguardo degli ottant’anni. Forte
della sua esperienza, come vede adesso il mondo, in che cosa lo vede
cambiato?
Stiamo attraversando
una fase di trapasso molto delicata. Nella “Ecclesia in Europa”
Giovanni Paolo II parlava di una tentazione diffusa e pericolosa,
quella cioè di un offuscamento della speranza. È un momento nel
quale la Chiesa si deve mobilitare per ritrovare nel Risorto quel
fiotto di speranza che affonda le sue radici nel sepolcro vuoto di
Cristo, che per noi si trasforma in ottimismo e certezza nelle parole
di Gesù quando dice “Non temete. Non sia turbato il vostro cuore.
Io ho vinto il mondo”.
Venerdì (oggi per chi
legge, ndr) Lei presiederà un incontro con i
presbiteri. Oggi quali sono le esigenze di un prete?
Il sacerdote ha
bisogno di ritrovare ogni giorno sempre più fermento ed entusiasmo:
cosa che si può facilmente ottenere coltivando un’intima amicizia
con Gesù. È Lui la nostra forza, la roccia che ci tira fuori dalle
secche, dalle sabbie mobili della tiepidezza.
Il primo pensiero che
fa la mattina appena sveglio…
Rivolgo il mio primo
pensiero a Dio, che mi sta facendo arrivare agli ottant’anni e in
modo più che accettabile. A Lui dono la mia vita e affido tutti i
palpiti del mio cuore.
... e l’ultimo
pensiero della sera prima di addormentarsi
Lo ringrazio della
giornata trascorsa, della vita che vorrà ancora donarmi e imploro
perdono per i miei peccati passati e per quelli presenti. Spero di no
per quelli futuri. (L'amico del Popolo, 2 maggio 2006).
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